Nella notte di Pasqua è iniziata la cinquantina pasquale cioè i cinquanta giorni che vanno dalla Risurrezione a Pentecoste durante i quali, secondo i Vangeli, il Risorto è apparso ai discepoli. Nella seconda domenica di Pasqua incontriamo l’episodio tradizionalmente noto come l’incredulità di Tommaso; ma, spesso, dimentichiamo che questo apostolo, nella stessa occasione ha pronunciato una delle più belle professioni di fede. Soffermiamoci su questo punto. Egli, vedendo davanti a sé Gesù vivo, che mostra i segni della sua passione e morte, sentendosi intimamente interpellato e conosciuto Presenza del Risorto risponde a Lui proclamando: «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28). La sua Presenza fa cadere tutte le resistenze di Tommaso. La sua fede è ora tutta rapita nella contemplazione del Signore Gesù. Egli è radicalmente trasformato dalla Presenza e dalla Parola consolante del Signore Risorto; così era avvenuto anche per Maria di Magdala e per gli altri suoi compagni. Tommaso riconosce, cioè conosce di nuovo e pienamente, Gesù come il “suo Signore” e il “suo Dio”, lo proclama come colui al quale appartiene la pienezza della gloria, il solo, che rende vicino e accessibile l’unico e invisibile Dio. Vi è così una intima connessione con l’inizio del quarto Vangelo: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1). In tal modo comprendiamo che la fede chiesta dal Vangelo, la fede pasquale è, nello stesso tempo, personale – come espresso dalla parola “mio” – e comunitaria cioè sorretta dalla fede di tutta la Chiesa. In questo solco si inserisce la nostra personale adesione di fede che siamo invitati a rinnovare in modo speciale in questi giorni pasquali.