“Perché mi chiamate: Signore, e poi non fate ciò che vi dico?”. Non è contenuta nel Vangelo odierno, ma potrebbe essere la frase che ne offre la chiave di interpretazione. Le letture di oggi sottolineano la necessità della corrispondenza tra ciò in cui diciamo di credere e il nostro agire. Gesù utilizza l’immagine dell’albero e dei frutti. L’albero rappresenta il cuore dell’uomo; i frutti sono il bene o il male che il nostro cuore può realizzare. Viene chiesto un cambiamento di mentalità; e i precetti che Gesù espone nel capitolo 6 di Luca sono accompagnati da ammonimenti (Lc 6, 38.40.49) per farci capire che si tratta di una proposta, la cui accettazione va vagliata molto seriamente. Potremmo scoraggiarci: è veramente una Buona Notizia questo insieme di norme enunciate da Gesù, dal momento che esse prevedono che io agisca in un modo del tutto opposto a quella che è la natura dell’uomo? Sì: queste norme sono La Buona Notizia; sono il grande dono che il Signore ha fatto all’umanità. Gesù le ha vissute e incarnate, indicandoci la via. Il nostro cuore è ammorbato dal peccato originale, ma questa non era la nostra condizione originaria, perché siamo stati creati a immagine di Dio. Siamo stati creati capaci di amare, di sopportare, di compatire, di scusare e pazientare. Creati, inoltre, per vivere nella gioia e nella pace, abbandonati in Dio, fiduciosi nel suo operato. Gesù è venuto per riportarci a quella condizione, per accompagnarci e fare da apripista su questa strada, se vorremo percorrerla. Per dirci che in questa lotta, tra la natura malata e quella risanata, tutte le volte che cadremo Dio Padre non ci condanna, ma ci guarda con tenerezza, ed è sempre pronto a risollevarci. Proprio come facciamo noi con i nostri figli. Tutti i Vangeli che fanno da cornice al discorso “del piano” (così viene chiamato il Sermone della Montagna secondo san Luca) confermano questa attitudine di Dio. Fare buoni frutti, allora, significa fare del bene prima di tutto a noi stessi; fare ciò che ci dice Gesù significa avvicinarci maggiormente all’incorruttibilità di cui parla san Paolo nella seconda lettura. E contemplare nella nostra vita il prodigio della “morte ingoiata dalla vittoria”.