“Una cosa sola ti manca”. Gesù non dice a quel tale: “Una cosa sola è quella che conta, ed è ciò che sto per proporti. Quanto hai osservato e praticato finora è da gettare”. “Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle”, dice Gesù, in un altro passo, rivolgendosi ai farisei, riguardo l’osservanza delle prescrizioni giudaiche (Mt 23,23). Dunque: per avere la vita eterna, la vita piena, ricca di senso, è necessario gettare tutta la nostra esistenza in Dio, mettere la sua sequela al di sopra di ogni altro interesse. Ma questa non è una cosa che si improvvisa: la scelta radicale per Gesù Cristo va preparata attraverso l’osservanza dei comandamenti. Forse, la loro stessa osservanza corrisponde a quel “vendi quello che hai… poi vieni e seguimi”. Quando amiamo il prossimo, il nemico (“non uccidere”, secondo il Discorso della montagna), di fatto vendiamo quello che abbiamo: le nostre aspettative, l’orgoglio; accettiamo di venire umiliati. E quando rimaniamo fedeli alla chiamata di Dio, qualunque essa sia (“non commettere adulterio”), stiamo vendendo ciò che abbiamo: la pretesa di soddisfare ogni desiderio, di affermare la nostra personalità; e accettiamo di aprirci al dialogo e al confronto con l’altro (moglie, marito, parroco, vescovo, confratelli), anche quando questo porta a conseguenze svantaggiose per noi. Il Tale, di cui parla il Vangelo, dice a Gesù di aver osservato i comandamenti fin dalla giovinezza: perché, allora, non riesce a seguire Gesù? Forse perché con “osservare e seguire” non si tratta di sterile osservanza di regole, ma è necessario metterci anche il cuore. Tante volte, anche noi perdiamo di vista l’obiettivo, il traguardo di tanti sforzi, che è “avere la vita eterna”: un’esistenza pienamente realizzata, pur in mezzo alle difficoltà e alle sofferenze che a nessun uomo vengono risparmiate. Gesù chiarisce qual è questo traguardo, al termine della pagina di oggi: “Riceverete già al presente cento volte tanto… e nel futuro la vita eterna”.