Parlare della donna nella Chiesa costringe a riflettere sulla realtà delle nostre chiese. Siccome si tratta di un mondo complesso, che va studiato a fondo, partiamo dall’aspetto esteriore: lo stile di vita, il clima umano e culturale, gli elementi che la distinguono, rispetto alla società in cui è inserita. Ci riferiamo alle parrocchie che continuano a essere, in Italia, quanto di più prossimo alla gente. Prima di ascendere al cielo, il Signore diede alla comunità primitiva – formata dagli undici e dalle donne, tra cui Maria – questo mandato: “Mi sarete testimoni” (At 1,8). La fedeltà alla sua parola li renderà credibili, agli occhi di tutti. Ma che significa testimoniare il Signore risorto? Con spiazzante realismo, il libro degli Atti (4,32-33) descrive la risposta “La moltitudine di coloro che venivano alla fede era un cuore solo e un’anima sola e nessuno chiamava più sua proprietà quanto gli apparteneva, perché tutto era comune tra loro”. E ora facciamo un paragone con le nostre chiese: si respira davvero quell’aria di apertura, di unione e di risurrezione? Nel discorso di fine anno il capo dello Stato ha raccontato che un’anziana signora, trovandosi sola il giorno di Natale, ha telefonato ai carabinieri per chiedere un po’ di compagnia. Una volta si sarebbe rivolta alla parrocchia. Ma la chiesa ha i suoi orari di apertura e il parroco quelli di ricevimento, poi tutto è serrato, ha osservato qualcuno. Cosa sono oggi le parrocchie? E ancora: in che modo le donne collaborano nel mandato della testimonianza?
Partiamo dalla loro presenza “fisica”. Le troviamo a pulire la chiesa, poi a casa del parroco a far da mangiare. Al sabato, o altro giorno a fare il catechismo. Ci sono donne che hanno affidi di segreteria o di altri uffici legati alla pastorale. La loro presenza più numerosa e costante è quella per il culto: almeno i due terzi dei fedeli partecipanti. Un altro dato interessante da valutare è l’età. Essa va da quella della pensione a quella dell’adolescenza per chi fa il catechismo. E a Messa le teste canute sono in gran maggioranza. Ha ragione don Armando Matteo a dire che le quarantenni sono in fuga.
La parrocchia è, insomma, un luogo di ritrovo e di preghiera, di pratica di attività, ma non è proprio la “casa” degli Atti. A fronte di una società in cui la famiglia e la città vivono la tragedia della frammentazione della vita comune, esce spontanea la domanda: qual è la differenza della Chiesa? Dov’è la sua profetica testimonianza di quel “cuore integro” e di quella mensa condivisa? È come chi è sposato formalmente, ma vive in case separate.
Rosanna Virgili, biblista