Le risate dei Santi
“Diventiamo più seri: impariamo a ridere”. Il consiglio è di un esperto di umorismo quale Giovanni Guareschi, una vita trascorsa nel coniugare cristianesimo e sorrisi “che arrivano diritti al cuore senza dover passare per la trafila del cervello” sempre per dirla con l’inventore di don Camillo e Peppone. Del resto, è per primo il Vangelo (non a caso “lieta notizia”) a invitare alla gioia come segno distintivo dei cristiani.
Gesù salutando i suoi nell’ultima cena è insistente a riguardo: “La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv.15,1). Figuriamoci dopo la Pasqua! Infatti, Eusebio di Cesarea, autore cristiano dei primi secoli, ha scritto: “La risurrezione di Gesù ha fatto della vita dei cristiani una festa senza fine”. Bene, non si è nella gioia – quella vera non banale, né superficiale – da corrucciati, truci, col cipiglio. La Chiesa lo ha di certo recepito: basta passare in rassegna titoli come la costituzione pastorale Gaudium et Spes o l’esortazione apostolica Gaudete in Domino di Paolo VI, vero e proprio trattato della gioia cristiana.
Sulla scia di Gesù – chissà quale suono avrà la sua risata – e del suo insegnamento, anche le figure di tanti santi sono riconducibili alla gioia e al sorriso. Basti pensare ai volti di Madre Teresa di Calcutta, Teresa di Lisieux, di Giovanna Beretta Molla, solo per citarne alcuni. Ma anche alla gioia benedicente dei Pontefici del secolo scorso: i beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, come pure Giovanni Paolo I, affettuosamente ricordato con l’appellativo di “Papa del sorriso”.
Ripercorrendo la storia, tra i santi della gioia troviamo Francesco d’Assisi e la perfetta letizia, Giovanni Bosco, Francesco di Sales. Lo humor , espressione di una fede viva, può aiutare addirittura nei momenti più drammatici, come testimonia Tommaso Moro. Salendo al patibolo, così si rivolse al suo carnefice: “Per favore, volete darmi una mano per farmi salire sicuro? Poi, per scendere, lasciate pure che mi arrangi da solo”. Altra grande figura della Chiesa, famosa per la sua simpatia è santa Teresa d’Ávila, mistica e dottore della Chiesa, cui si attribuisce il detto: “Tristezza e malinconia fuori di casa mia”. Si racconta che la santa, dopo essersi rotta un braccio cadendo dalle scale, se ne lamentasse con il Signore, che le rispose: “Così tratto i miei amici” E Teresa ribatté: “Per questo ne avete così pochi”. Commentava l’episodio padre Jesus Castellano Cervara: “È bello parlare con Dio in questo modo, quando ci si accorge, pur nella sublimità della vita mistica, che il nostro Dio è “affabile” e la conseguenza è che occorre imitarlo”.
Ultimo esempio – ma tanti altri ce ne potrebbero essere – è san Filippo Neri il “santo della gioia”, personalità anticonvenzionale a servizio dei giovani di strada della Roma del ‘500, stimato tanto dal popolino quanto dai vecchi ecclesiastici. Fu così che ricevette l’incarico da papa Clemente VIII di valutare una santona del tempo, celebre per le sue visioni. Invitato a visitarla, san Filippo volle testarne l’integrità. Le chiese quindi di sistemare le sue scarpe luride, suscitando il rifiuto e lo scandalo della santona. Queste le poche parole che fece recapitare al pontefice: “Santità, poca santità”.