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Fede (Da L. M. Epicoco, Sale, non miele)

Certe volte, nella preghiera, ci sentiamo come cani, come scarti, e vorremmo scappare, ce ne vorremmo andare. Ci viene la nausea soltanto al pensiero di metterci a pregare, perché ci torna alla mente questa sensazione di sentirsi scarto. E’ questa la percezione che abbiamo: sentirci come dei cani. Ma è proprio all’apice di questa esperienza drammatica che la donna fa la sua professione di Fede: “E’ vero, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Tu hai ragione, ma io rimango qua. Persino io, che non valgo niente, so che c’è qualcosa anche per me. “Donna, è immensa la tua Fede; va, accada come desideri” (…) Che cos’è la Fede? E’ saper restare nella preghiera anche quando il nostro sentire e il nostro ragionare ci dicono di andarcene (…) Tu ci sei necessario, Signore, sei il centro di tutto. Quando Lui è il necessario, diventa la parte più essenziale, e non è più Lui che si adegua a noi, ma noi che veniamo portati in un cambiamento interiore profondissimo. E’ il cambiamento di arrivare disperati e uscirne con la Fede, con una Fede che ottiene: “Accada come desideri”.

Se pensiamo ai santi, a coloro che magari in maniera eccessiva hanno fatto miracoli nella loro vita, possiamo notare subito la loro continua precisazione nel dire di non essere loro gli artefici del prodigio. La gente non li capiva subito, e si domandava come fosse possibile che il Signore agisse così abbondantemente nella vita di una persona. Ma la verità è che quando tu ti svuoti, è Lui che ti riempie, è Lui che agisce. Certe volte, quando ci si sente inutili, ma si ha Fede al punto da restare al proprio posto comunque, si diventa tremendamente fecondi, perché Cristo ha fatto così; ci ha salvati con la Croce. E’ con la croce che ci ha salvati, non con la predicazione o con i miracoli. Tutte le volte che noi siamo nella sua stessa condizione di crocifissi, diventiamo come Lui, fecondi, capaci di veicolare la salvezza anche noi. ecco che cosa è l’umiltà. L’umiltà è restare quando, invece, la nostra parte emotiva e razionale ci dice di andarcene.

La Fede ci spinge fino a questo punto, perché vuole insegnarci una cosa molto importante: che noi non siamo le nostre emozioni e non siamo i nostri pensieri. Invece siamo convinti di coincidere con le nostre emozioni e con i nostri pensieri. Per questo ci viene spontaneo andarcene. La Fede, a volte, ci porta al punto di sperimentare emotivamente e razionalmente un disinteresse da parte di Dio, e lì si affronta la lotta, invece, per restare comunque. Se tu resti, a un certo punto si crea dentro di te una scissione. Tu comprendi che non sei ciò che provi e ciò che pensi, ma sei uno che, contro ogni aspettativa, rimane lì. Potremmo quasi dire che sei ciò che scegli, non ciò che provi o ciò che pensi. Credo che sia la lotta più cruenta della Fede. Gesù per spiegarla dice così nel Vangelo: “Chi vuole seguirmi, rinneghi se stesso”, cioè, si metta contro se stesso, si metta contro il proprio apparato emotivo, il proprio apparato intellettuale, si metta contro: “Prenda la sua Croce e mi segua” (cfr. Lc. 9,23). L’esperienza della Fede è l’esperienza di mettersi contro se stessi, di imparare a restare, quando la nostra parte emotiva e razionale invece ci sta dicendo: “No, vattene, non c’è nessuno qui, nessuno ti ama, a nessuno interessi qui, tu preghi ma nessuno ti rivolge la parola, un Dio che ti fa sentire cane”. L’umiltà è una maniera alta di esercitare la fortezza. La fortezza di non andarsene e di rimanere lì piantati.

La Fede non è un po’ di miele in bocca per imbonire l’ingoiare di qualche pillola amara. A volte è qualcosa che brucia, come il sale su una ferita. Ma proprio per questo le impedisce di “marcire”.

Siamo chiamati ad essere sale, non miele

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